L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con la Segnalazione AS1171 del 13 gennaio 2015, ha formulato alcune osservazioni nei confronti della Legge n. 10/2014 della Provincia Autonoma di Bolzano, in materia di commercio al dettaglio.

La normativa indicata introduce all’interno delle zone per insediamenti produttivi il limite del 25% della cubatura esistente per lo svolgimento di prestazioni di servizi e/o di commercio al dettaglio, elevato al 40% nei comuni con più di 30.000 abitanti. Inoltre, nel computo dei limiti di cubatura citati, sono incluse anche le strutture di vendita già autorizzate o che hanno legittimamente iniziato la propria attività nelle zone per insediamenti produttivi, sempreché intendano vendere merci diverse da quelle di specificamente dettagliate dalla disciplina di settore (l.p. n. 13/1999 e D.G.P. n. 1895 del 9 dicembre 2013.

L’Autorità Antitrust ritiene che i vincoli e contingenti all’apertura di nuove attività e all’ampliamento di quelle esistenti, presenti nella normativa della Provincia Autonoma di Bolzano, si pongano in contrasto con i principi di liberalizzazione di diretta derivazione comunitaria vigenti nel nostro ordinamento. Si tratta in particolare di limiti non solo di matrice economica, ma di rilievo territoriale, che un recente ma consolidato indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto illegittimi se non proporzionati o non giustificati rispetto ad esigenze di tutela di interessi generali (Corte Cost. n. 38/2013 e T.A.R. Lombardia, Milano, n. 2271/2013).

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con la Segnalazione AS1171 del 13 gennaio 2015, ha formulato alcune osservazioni nei confronti della Legge n. 10/2014 della Provincia Autonoma di Bolzano, in materia di commercio al dettaglio.

La normativa indicata introduce all’interno delle zone per insediamenti produttivi il limite del 25% della cubatura esistente per lo svolgimento di prestazioni di servizi e/o di commercio al dettaglio, elevato al 40% nei comuni con più di 30.000 abitanti. Inoltre, nel computo dei limiti di cubatura citati, sono incluse anche le strutture di vendita già autorizzate o che hanno legittimamente iniziato la propria attività nelle zone per insediamenti produttivi, sempreché intendano vendere merci diverse da quelle di specificamente dettagliate dalla disciplina di settore (l.p. n. 13/1999 e D.G.P. n. 1895 del 9 dicembre 2013.

L’Autorità Antitrust ritiene che i vincoli e contingenti all’apertura di nuove attività e all’ampliamento di quelle esistenti, presenti nella normativa della Provincia Autonoma di Bolzano, si pongano in contrasto con i principi di liberalizzazione di diretta derivazione comunitaria vigenti nel nostro ordinamento. Si tratta in particolare di limiti non solo di matrice economica, ma di rilievo territoriale, che un recente ma consolidato indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto illegittimi se non proporzionati o non giustificati rispetto ad esigenze di tutela di interessi generali (Corte Cost. n. 38/2013 e T.A.R. Lombardia, Milano, n. 2271/2013).

La base giuridica di questa ricostruzione è rinvenibile in quel complesso di norme contenute nel d.l. n. 223/2006, nella direttiva europea n. 2006/123/CE, trasfusa nel d. lgs. n. 59/2010, nei decreti n. 201/2011, 138/2011, 1/2012 e 5/2012. In particolare, secondo gli artt. 31, comma 1, e 34, comma 3, D.L. n. 201 del 2011 (Salva Italia), ricadono nell’ambito delle limitazioni vietate – salvo la sussistenza di motivi imperativi d’interesse generale – non solo i piani commerciali che espressamente sanciscono il contingentamento numerico delle attività economiche, ma anche gli atti di programmazione che impongono “limiti territoriali” al loro insediamento. Di conseguenza, come sostenuto nella citata sentenza del Tribunale milanese, il controllo sugli atti di programmazione urbanistica assume contorni molto più penetranti rispetto al passato, “per verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime“.

Di recente, altra giurisprudenza (T.A.R. Piemonte, Sent. n. 294 del 12 febbraio 2015), si è dovuta occupare di una domanda di autorizzazione commerciale per media struttura di vendita alimentare e non, proposta da un’impresa già attiva nel commercio all’ingrosso, negata dal Comune per incompatibilità con lo strumento urbanistico. In particolare, secondo la D.C.R. n. 191-43016 del 20/11/2012, le attività commerciali eccedenti il vicinato risultavano ammissibili solo in determinate zone, mentre l’insediamento interessato era collocato in zona diversamente classificata. Il Tribunale ha accolto il ricorso, anche in base al proprio precedente costituito dalla sentenza n. 276/2013, ritenendo che “l’amministrazione deve compiere un’esauriente istruttoria volta a verificare se risulti davvero compromessa, nel caso specifico“, una finalità di interesse generale, e “in caso positivo, deve esaurientemente giustificare l’applicazione “ragionevolmente proporzionata” dell’eccezione (il divieto di nuova apertura) a fronte dell’opposta regola generale (la libertà di nuova apertura)“. Omettendo un fondamentale passaggio istruttorio ed argomentativo alla base del diniego, il Comune si è limitato a prendere atto che le norme urbanistiche regionali e comunali non consentono in astratto la collocazione dell’attività, senza una preventiva analisi sulla compromissione, in concreto, di taluna delle finalità imperative indicate dalle leggi di liberalizzazione.

In un altro recente caso, esaminato da T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sent. n. 6 del 15 gennaio 2015, è stata esclusa la possibilità di trasformare da non alimentare ad alimentare una media struttura, sostenendo l’incompatibilità urbanistica del cambio di settore. In questo caso, il Tribunale ha ritenuto che il divieto posto dalla strumentazione locale fosse preordinato a tutelare esigenze di ordine urbanistico. L’istruttoria compiuta ha avuto riguardo, infatti, all’assetto del territorio urbano, alla dotazione di parcheggi pertinenziali e di aree per il carico e scarico merci, agli standard urbanistici, all’accessibilità, all’impatto sul sistema viario, in definitiva al carico urbanistico. (Michele Deodati)